Andrea Porqueddu /deteatro.it

Vecchie , prima di essere spettacolo, è stato un film: stesso il regista, Daniele Segre (da anni attivo nel campo del cinema e del documentario d’autore), stesse le interpreti, Barbara Valmorin e Maria Grazia Grassini. Film che ha ottenuto un successo più che dignitoso: presentato all’ultimo Festival di Venezia, nella sezione Nuovi Territori, ha poi vinto il premio come Miglior film al Festival di Annecy. E questa storia di due donne non ancora vecchie e non più giovani, ma ragazze libere nello spirito, ha giustamente trovato la via del palcoscenico grazie alla coraggiosa e determinata politica artistico-culturale dell’associazione teatrale pistoiese, e del suo direttore, Cristina Pezzoli. La scelta di una drammaturgia contempornaea e nazionale non è facile: ma che bella curiosità si ha nell’andare a vedere un testo che parla dell’oggi e del qui, del quartiere e della gente, delle vacanze e della famiglia. Ed è giusto, allora, che simili scelte vengano ricompensate con il successo. Risate, commozione, applausi: non poco, in un’ora o poco più di spettacolo. Il merito va ascritto, in primo luogo, alle due attrici. La Valmorin e la Grassini sono straordinarie: una scelta intepretativa mimetico-minimale – giustamente vicina al «precedente» cinematografico – nulla toglie alla effettiva pregnanza comunicativa, emozionale, teatrale.

La storia è presto detta: in una casa di mare, affittata per una vacanza, due donne, due amiche da sempre, si svegliano e ancora in camicia da notte iniziano il loro eterno dialogo, il loro continuo litigio. Preparandosi per una passeggiata sempre rinviata trovano il tempo e il modo di ripercorrere con semplice quotidianità le loro esistenze. Non c’è retorica né pseudo-lirismo: Agata e Letizia sono due donne di oggi, forti e fragili, affascinanti nei loro difetti, dolci e volitive, coraggiose e impaurite. Timorose non della solitudine – no, ché anzi sono abituate a star da sole – ma dell’abbandono: tra acciacchi e ricordi, risate e lacrime, parolacce e volgarità, nomi di uomini amati e persi, questa «strana coppia» si interroga ancora su «cosa mi piacerebbe fare», salvo poi, dolorosamente, rendersi conto di non fare più nulla. La morte è lì, spettro lontano ma non troppo, mascherata da noia insopportabile: in una giornata di scirocco la casa del mare è il luogo dove le due donne, quasi Vladimiro ed Estragone di una buona borghesia italiana, vivono e aspettano. Piccoli gesti, sigarette e biscotti, qualche movimento davanti alla tavola coperta da una tovaglia bianca: Valmorin e Grassini fanno di Agata e Letizia due donne vere. Più immediata e rude la «dominante» ma fragile Agata, più sottile e auto-critica Letizia, entrambe bellissime e commoventi. La regia di Segre – che ha debuttato in teatro nel 95 con Week end di Ruccello, interpretato dalla stessa Valmorin – si limita ad «incorniciare» l’incontro-scontro tra le due attrici in un uno spaccato neutro, quasi uno spazio fisico e mentale in bianco e nero (le scene sono di Antonio Panzuto), spingendo però le due interpreti ad uno scavo inarrestabile dentro il proprio essere. L’ultima scena è l’ennesimo litigio, ma tutto recitato fuori campo: chissà, forse le due donne si stanno vestendo per uscire, finalmente. Un bagno di mare, nonostante lo scirocco, nonostante la vita… (10 gennaio 2003)